Consulenza tecnica in mediazione: ribadita l’utilizzabilità nel giudizio

11 Maggio 2018

La consulenza tecnica disposta nel corso del procedimento di mediazione obbligatoria può essere utilizzata nel successivo giudizio civile senza violare i divieti sanciti dagli articoli 9 e 10 del D.lgs. n. 28 del 2010.

L’elaborato tecnico predisposto e/o allegato nella procedura di mediazione può essere acquisito nel corso del procedimento di merito trattandosi di prova precostituita che – al contrario delle dichiarazioni ed informazioni – non risente del contesto procedurale entro cui è acquisita – connotato da evidenti ragioni di informalità – e consta di opinioni tecniche verificabili in modo distinto ed autonomo da quel contesto di provenienza.

Questi, in sintesi, i principi che possono essere espunti dalla lettura di una recente ordinanza del foro di Roma (cfr., Trib. Roma, Sez. XIII, Ord. 3 aprile 2018, Giud. Cisterna) che ha riproposto all’attenzione dell’interprete, la questione, già dibattuta in seno alla dottrina ed affrontata anche dalla giurisprudenza di merito, concernente l’ammissibilità o meno della produzione della consulenza tecnica effettuata durante lo svolgimento del procedimento di mediazione nel successivo giudizio civile iniziato o proseguito. La questione principale si incentra sulla produzione in giudizio della consulenza tecnica essendo la stessa almeno potenzialmente suscettibile di violare due disposizioni contenute nel Decreto legislativo n. 28 del 2010: (i) l’art. 10 concernente l’inutilizzabilità nel giudizio civile delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione; (ii) l’art. 9 che impone a chiunque operi nell’ambito del suddetto procedimento l’osservanza del dovere di riservatezza.

Parte della dottrina ha infatti sostenuto, l’inutilizzabilità, salvo diverso accordo delle parti, della relazione peritale riconducendo le valutazioni operate dal consulente nominato durante la procedura compositiva nell’alveo di quelle “informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione” soggette al divieto di utilizzabilità “nel giudizio avente il medesimo oggetto anche parziale, iniziato, riassunto o proseguito dopo l’insuccesso della mediazione”. La decisione con la quale il giudice ha rigettato la richiesta di consulenza tecnica d’ufficio rinviando per la precisazione delle conclusioni, si allinea alla pronuncia – citata anche nel provvedimento – del medesimo foro a firma del giudice Moriconi (cfr., Trib. Roma, Sez. XIII, ord. 17 marzo 2014) che, nell’affrontare per la prima volta la questione in esame, ha ritenuto producibile in giudizio, ma con limitato valore probatorio, la perizia espletata nel procedimento di mediazione. Secondo tale “storica” ordinanza, dal tessuto motivazionale di ampio ed articolato respiro, la relazione redatta dal consulente tecnico nel corso di un procedimento di mediazione che si concluda senza accordo può essere prodotta nel successivo giudizio ad opera di una delle parti senza violare le regole sulla riservatezza, in virtù di un equilibrato contemperamento fra “l’esigenza, nei limiti in cui è normata, di riservatezza che ispira il procedimento di mediazione e quella di economicità e utilità delle attività che si compiono nel corso ed all’interno di tale procedimento”. Il giudice potrà pertanto utilizzare tale relazione “secondo scienza e coscienza con prudenza, secondo le circostanze e le prospettazioni, istanze, e rilievi delle parti” più che per fondare la sentenza “per trarne argomenti ed elementi utili di formazione del suo giudizio” ovvero anche “per costituire il fondamento conoscitivo ed il supporto motivazionale (più o meno espresso) della proposta del giudice ai sensi dell’art. 185-bis cod. proc. civ.”.

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